Gridano le pietre, piangono le piante: teologia, salute e giustizia nella Terra dei Fuochi

C’è una liturgia segreta che si consuma nelle viscere della Terra dei Fuochi: non fatta di incensi e canti, ma di arsenico, piombo e mercurio. È la liturgia di una creazione martoriata, di una natura che geme nel travaglio della corruzione umana (cfr. Rm 8,22). Gli ultimi dati pubblicati dall’Università Federico II di Napoli in collaborazione con la Temple University di Filadelfia non lasciano spazio a interpretazioni rassicuranti: le piante – come sentinelle del dolore – stanno assorbendo le tossine di un peccato collettivo, quello di una gestione criminale del territorio che dura da decenni.
Eppure, il grido della terra non è nuovo. Papa Francesco, nell’enciclica Laudato si’, aveva già denunciato questo “gemito della sorella terra”, maltrattata e saccheggiata, che si unisce al grido degli scartati della società. L’attuale studio scientifico, che utilizza il muschio come bioindicatore, ci offre un’immagine paradossalmente biblica: come i profeti antichi, anche questa umile creatura vegetale si fa voce di Dio, denuncia il male, mostra la via della conversione.
La fede cristiana non può restare neutrale di fronte a questa sofferenza. Non è un’aggiunta alla scienza o alla politica, ma è chiamata a stare nel cuore del dramma come lievito di giustizia. Il Vangelo stesso ci interpella: come possiamo parlare del Dio della vita e poi tacere davanti a un ambiente che genera morte? Come possiamo annunciare la risurrezione ignorando i “sepolcri ambientali” disseminati tra Napoli e Caserta?
La recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha condannato lo Stato italiano per la cattiva gestione del disastro ambientale, ha il valore di una profezia civile: riconosce che in quelle terre si muore non solo per caso, ma per colpa. E se la colpa ha radici sistemiche, la risposta non può che essere comunitaria, coordinata, integrale. Proprio come chiede la Laudato si’.
In questo senso, il pellegrinaggio che le 11 diocesi campane promuoveranno dal 16 al 24 maggio, in occasione del decimo anniversario dell’enciclica, non è un evento folkloristico ma un gesto profondo di fede incarnata. Toccare con i piedi le ferite del territorio significa non distogliere lo sguardo, mettersi in ascolto, riconoscere che la terra è nostra madre e che, come ogni madre ferita, attende cure, giustizia, restituzione.
Serve una spiritualità del risanamento, capace di riconoscere che in ogni rogo tossico si consuma anche un patto spezzato con Dio. La teologia non può essere disincarnata: se Dio si è fatto carne, allora ogni carne contaminata, ogni albero sofferente, ogni respiro minacciato diventa luogo teologico, segno dei tempi, feritoia per la redenzione.
La Terra dei Fuochi, allora, è anche Terra Santa. Non perché sia immune dal male, ma perché lì, più che altrove, il mistero della croce si manifesta in tutta la sua crudezza e urgenza. E lì, più che altrove, può iniziare la risurrezione di un popolo e di una terra, se solo accoglieremo l’invito di Dio a “custodire e coltivare” (cfr. Gen 2,15), e non più a sfruttare e bruciare.
Don Salvatore Abagnale
Diocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia

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