Prosegue il cammino delle Chiese della Campania sui passi della 50ª Settimana Sociale dei Cattolici in Italia. Dopo i primi due momenti di ascolto svoltisi a Pompei, sabato 7 giugno si è tenuto, presso l’Eremo dei Camaldoli di Napoli, un incontro di spiritualità promosso dalla Conferenza Episcopale Campana alla presenza dei vescovi delegati, il presidente Mons. Antonio Di Donna, Mons. Francesco Alfano e Mons. Francesco Beneduce.
A guidare la meditazione è stato S.E. Mons. Pasquale Cascio, arcivescovo di Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia, che ha proposto una riflessione intensa e profetica a partire dal gesto simbolico compiuto da Geremia: comprare un campo ad Anatot, mentre tutto attorno crollava.
È un’immagine potente, questa, che ha accompagnato anche gli esercizi spirituali dell’episcopato italiano, guidati da padre Bovati. Il campo da comprare diventa emblema di una speranza che si ostina a germogliare anche nella notte della storia. Geremia, rinchiuso in prigione, vive il tempo della distruzione e dell’esilio: il popolo è disperso, Gerusalemme assediata, la monarchia finita. Eppure, è proprio lì, nella crisi, che riceve l’invito ad acquistare un terreno, segno concreto di un domani possibile, caparra di una terra che potrà tornare a essere abitata. Questo gesto, carico di significati teologici e politici, dice l’essenza della profezia: non una fuga dal reale, ma un’immersione in esso, per attraversarlo nella luce di Dio. Il profeta non è un sognatore disincarnato, ma un uomo che porta nel corpo le ferite del popolo, che si lascia attraversare dalla storia, che si sporca le mani per custodire il fuoco della speranza. Non basta denunciare: bisogna costruire, preparare, custodire.
Nel cuore della crisi, dunque, Geremia riscatta un campo. Non lo fa per ambizione, né per nostalgia del passato, ma per responsabilità. La Legge prevede che un parente prossimo riscatti il terreno per non disperdere l’eredità: Geremia assume questa norma per traghettarla nel futuro. È un atto che tiene insieme tradizione e profezia, appartenenza e responsabilità. Così dovrebbe essere anche l’impegno dei credenti nel campo della democrazia: riscattare con fedeltà e creatività il terreno della partecipazione, della giustizia, del bene comune. In un tempo in cui il disincanto sembra prevalere, comprare un campo è un atto profondamente politico e spirituale: non è ancora costruzione, ma è semina, segno profetico che anticipa un’altra stagione. Lì dove tutto sembra fallito, un piccolo pezzo di terra diventa promessa di vita nuova.
Anatot, luogo d’origine del profeta, non è un nome neutro. È simbolo di esclusione, memoria di una stirpe sacerdotale disprezzata, terra di fallimento. E proprio lì, in quella periferia del cuore e della storia, Geremia compie il suo gesto di speranza. È un invito a non lasciare indietro nessuno, a credere che anche i luoghi scomodi possano diventare grembo di rinascita. È il contrario di ogni logica efficientista: si investe là dove sembra non esserci nulla, si spera là dove tutto parla di morte. È questa la logica del Vangelo: seminare anche nelle pietre, amare anche ciò che non restituisce nulla.
Dalla terra riscattata nasce la possibilità di abitare una città nuova. È il passaggio decisivo: dal campo alla comunità, dal gesto personale al legame sociale. Non si tratta di un possesso individuale, ma di una condivisione. Come nel libro di Rut, dove il riscatto del campo apre alla comunione. O come nella Cena del Signore, dove il pane spezzato diventa luogo di fraternità. È la dinamica della democrazia vera: non chiudersi nel proprio orticello, ma costruire una casa comune, nella quale ciascuno abbia un posto. Geremia, comprando quel campo, mostra che si può vivere la fedeltà alla legge non come vincolo, ma come apertura al nuovo. È nella lealtà al compito affidato che si apre uno spiraglio di comunione.
Questo gesto parla forte anche alla Chiesa di oggi, chiamata a uscire dalla logica della difesa per entrare in quella del dono. L’impegno dei cristiani nella vita pubblica non è opzionale, né accessorio. È un’espressione coerente della fede, che si fa carne nel tempo. Come insegnava De Gasperi, non si può amare Dio che non si vede, se non si ama il fratello che si vede. L’alleanza con Dio domanda il patto sociale, la cittadinanza attiva, la cura del campo comune. Il Vangelo non si sottrae alla storia, la trasfigura. Per questo, la partecipazione politica – vissuta come servizio e non come potere – è una delle forme più alte della carità.
Il profeta obbedisce alla Parola, riconosce in essa la volontà di Dio, e si affida. È così che nasce una comunità profetica: non da programmi imposti, ma da gesti concreti abitati dalla fede. Dal campo riscattato può sorgere una città fraterna. Perché la speranza, anche se piccola, è più forte del cinismo. E il futuro non nasce dalla forza, ma dalla fedeltà.
In questo tempo, in cui la tentazione è quella di disinvestire, di cedere alla rassegnazione, l’invito che si leva dall’Eremo dei Camaldoli è chiaro: è tempo di comprare il campo. Di non temere la crisi, ma di attraversarla con fede. Di non abbandonare la democrazia, ma di rigenerarla dall’interno. Perché solo chi ama davvero la terra, può farla fiorire.
Don Salvatore Abagnale,
vicario generale Arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia